Per chi lo ha letto, per chi lo ha fatto più di una volta, per chi dovrebbe farlo – di nuovo.
Ricordo le lacrime quando lessi per la prima volta di Monsieur Marsell steso sul tavolo dell’obitorio e di Libero baciarlo sulla punta dell’orecchio, piano, come suo padre prima di lui. Erano anche le tue.
Sono le stesse ogni volta che lo leggo. Almeno una l’anno; tutte le volte di cui ne ho bisogno.
Libero ama Anna perché gli aveva restituito il nome (e per come scopa), io questo libro perché me lo ha ricordato. Delle declinazioni dell’amore, di quanto sia stata liberatoria la circoncisione e corretta la scelta di non detestare Emmanuel, come Carrère – troppo facile nell’infanzia, complesso nell’adolescenza, incosciente nell’adultità.
Non gli perdonammo quel bagno in mare di fronte a Fellini e Cary Grant mentre Monsieur Marsell ci mostrava la devozione. Aveva spezzato il cuore di Marie e mamma lo accolse prima in bocca e poi in casa. I cappelletti che si raffreddavano e quel pompino, la prima crepa. Anni dopo il loro ripieno sparso a terra, distrutti uno a uno nel palmo della mano: la ricotta, il limone e la noce moscata. Madame Marsell ora tra le dita. Noi, il suo ometto di mondo.
Avremmo poi preteso che Manù rimanesse nella casa di rue des Petits Hôtels. Si erano soltanto innamorati, era capitato anche a noi.
Lunette a New York fa male allo stomaco. Adesso meno solo perché siamo adulti. In chiesa, in ultima fila, è tutte le scelte sbagliate che rifaremmo ogni volta; in ginocchio di fronte a noi l’incestuosa rievocazione della crepa che ci portiamo dietro. Alla fine la abbracciammo in silenzio.
Discutiamo a Les Deux Magots sotto al quadro di Sartre – Dio come gioca McEnroe! – della farfalla nera, delle sue cosce, di Simenon. Facemmo l’amore per la prima volta nell’appartamento del Marais. Rodari scrisse Favole al telefono per suo figlio. Ci piace pensare che Monsieur Marsell lo stesse leggendo pensando al suo mentre noi leggevamo 1984 poco prima di ricevere la telefonata. L’occhiello alla pagina 19 e la tessera del partito firmata nell’angolo destro.
Marie ci dona Camus e scopre il seno maestoso togliendoci la curiosità ma non la voglia; la conserviamo dalla vacanza a Deauville, dalla prima volta che ci chiamò Grand, da quando battezzammo il suo vestito scollato e le sue lacrime con un carta igienica rimasta asciutta e una branda troppo cigolante. La smetti di agitarti? L’avremmo per sempre amata, desiderata finché non scoprimmo che quello era soltanto un seno.
Non come quello di Anna. Lo succhiamo ancora da amanti e non come neonati anche dopo la seccatura di Madame Marsell. Ancora magnifico come la prima volta alla piscina Saini, quando Anna indossava il costume intero bianco e nero e noi avvampavamo prima di averci per la prima volta, trasformando l’atto in misticismo. Con l’alchimia della carne scoprimmo che il corpo era solo l’inizio.
Mario avrebbe voluto farci incontrare molto tempo prima. Lo fece al tempo giusto: non fu l’inconscio a giocargli un brutto scherzo ma noi. Giorgio consigliò di assaggiare e scappare e se non fossimo stati capaci di darsela a gambe. Non fummo capaci, per questo abbiamo fatto tutti pace con noi stessi.
Il 27 dicembre scrivemmo quella parola, riscattammo papà. Trovammo l’incipit e il nostro finale.
Ora Alessandro si addormenta sul petto e il dolore acquieta, di mamma, di Monsieur Marsell ora sepolti assieme a Passy – la foto al Trocadero, la giostra, il cavallo dal pennacchio rosa. La loro scelta di non amarsi più e continuare ad amarsi comunque: cosa sarò senza?
Il nostro complesso edipico finalmente risolto.
I gradini, il caffè d’orzo, un cappuccino.
Niente è dimenticato.
Noi?
Insieme.