Rivista La città dei lettori

Avevo scelto di vivere

By 26 Marzo 2020 19 Dicembre, 2020 No Comments

Avevo scelto di vivere

Lilith Moscon

Ero seduta su un treno regionale al posto numero nove. 

 

 Alcuni passeggeri avevano dato un ultimo tiro di sigaretta prima di salire. C’era odore di nicotina ovunque. 

 

 Sulla tratta che va da Firenze a Lucca passano spesso ragazzine rom a gruppi di tre o a coppie, chiedendo denaro. Camminano su zeppe di sughero e ridacchiano come se, invece di mendicare, stessero dicendo a tutti: «Siete proprio dei fessi!»

 

Nutro simpatia per queste ragazzette perché sovvertono l’immagine che la religione e secoli di storia dell’arte hanno fornito dei poveri. Niente mani protese, schiene umiliate, sguardi pietosi. No. Le adolescenti rom del mio treno chiedono soldi in modo sfacciato, scambiandosi tra di loro frasi in una lingua che non conosco. Si mettono gli spiccioli nelle tasche delle loro gonne fiorite facendo qualche smorfia, come a ribadire: «E bravi fessi!»

 

 Alcune hanno i capelli sporchi ma raccolti dietro le spalle in modo elegante. Altre hanno occhi bellissimi, pungenti, e una bocca perfetta.

 

Ridono al cielo, passano la lingua fra un dente e l’altro, sì, pur chiedendo l’elemosina. Le zingare sfidano con passo sicuro gli occhi della gente e non chiedono da terra, ma dall’alto di un trono. Per me sono regine stanche che strascicano le loro scarpe pesanti e sghignazzano prima di andarsi a coricare.

 

Le guardavo e pensavo ai gatti di Largo Argentina a Roma e a quelli dei Fori Imperiali. Avrei voluto pure io dormire all’aperto, tra le rovine.

 

 Accanto a me c’era un signore dal ventre gonfio di vino e dalla fronte sudata. Parlava di sua moglie, una giovane ucraina. Ero certa della solitudine di quell’uomo. Il suo ventre da bevitore mi procurava tuttavia ribrezzo. 

 

Chi era quel signore per catturare così tanto la mia attenzione?

 

Un’idea ce l’avevo. Era un amico di mio nonno, “il Mora”, che tra una bestemmia e l’altra faceva passare il suo pancione fra le tendine a fiori della nonna e andava a sedersi in attesa che gli venisse servito da bere. Era lui che al terzo bicchiere di vino cominciava a urlare finché la nonna non lo cacciava cortesemente di casa, per poi venire da me e sussurrarmi, con un sorriso dolce: «Non preoccuparti, piccola, quel signore lì è un po’ matto.»

 

Occupavo il posto numero nove e non avevo lasciato il sedile vuoto nemmeno un momento, nemmeno per andare in bagno. Non potevo mollare, ne andava della mia stessa vita. Quando si decide di vivere, di stare al mondo, si da un ultimo tiro di sigaretta e si sale su un treno. Bisogna cercare il proprio posto o fermarsi dove sembra esserci spazio.

 

Una signora, seduta a metà della mia carrozza, mise la messa sul suo cellulare, “Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome…”

 

Ci sentimmo la messa tutti quanti, nessuno si alzò per dirle di abbassare il volume.

 

A un certo punto la signora girò il cellulare verso il finestrino, così da vedere riflessa sul vetro l’immagine del prete mentre svolgeva le funzioni.

 

 Non avevo lasciato vuoto il posto numero nove, nemmeno per andare in bagno.

 

 Avevo scelto di vivere.

 

 

 

“Il mondo è vasto, Liuba, e molto vario. E innumerevoli sono gli aspetti della Realtà che uno scrittore può descrivere. Io ho pensato che, senza andare troppo lontano, forse potevo dare un’occhiata a una realtà che mi sta accanto. Perché a volte questa realtà, che spesso guardiamo senza vedere, riproduce, magari su scala ridotta, certe macroscopiche sciagure del globo che vengono esibite in televisione: terremoti, guerre, violenze, genocidi. Può essere il signore insospettabile che ci saluta ogni mattina in ascensore e che all’insaputa di tutti gli inquilini sevizia la bambina nell’appartamento accanto al nostro, il clochard che muore di freddo sul marciapiede di fronte al palazzo della nostra città dove ha luogo il Ballo in Maschera, o un gruppetto di Zingari costretti a vivere come animali appena fuori dal centro.

Qui l’estate è finita. E loro (gli “eredi” di Lorenzo il Magnifico) hanno smesso di ballare (per ora). Finite le scarpette di Cenerentola tempestate di smeraldi, le feste con gli stilisti, i cocktail nelle ville aristocratiche, i ricevimenti nei saloni comunali. Tutto finito. Piove.”

 

(Gli Zingari e il Rinascimento, Antonio Tabucchi)

Lilith Moscon

È laureata in filosofia, diplomata in psicodramma presso l’Istituto Psychodramaforum di Berlino e in Linguaggio Sensoriale e Poetica del Gioco presso il Teatro de los Sentidos di Barcellona. Collabora con la rivista online Doppiozero e con la casa editrice Telos in qualità di formatrice. Ha pubblicato diversi libri per ragazzi tra cui Vedo, non vedo, vedo più in là (Einaudi Ragazzi), Un regalo para Nino (A buen paso), Monsieur Magritte (Libri Volanti), Il ragazzo dal mare negli occhi (Telos Edizioni). Il suo ultimo libro è Bestiario Familiare (Topipittori Edizioni), con le illustrazioni di Francesco Chiacchio. www.lilithmoscon.com

Lettura consigliata
Gli Zingari e il Rinascimento
Antonio Tabucchi
"Gli Zingari e il Rinascimento. Vivere da Rom a Firenze" è un appassionato atto di accusa a Firenze, città vetrina che pensa solo ai turisti e relega gli ultimi in ghetti disumani. Antonio Tabucchi ci racconta il suo viaggio alla periferia nascosta della capitale del Rinascimento, dove, in compagnia di un’antropologa, scoprirà la realtà desolante e disumana di un campo nomadi e la difficile esistenza dei suoi abitanti, e incontrerà una comunità di base impegnata ad affermare i diritti di tutti e a dare voce ai più deboli come i Rom. Da questo “viaggio all’inferno” lo scrittore matura sdegno, malessere, esprime senso di rivolta, sottolinea le scandalose contraddizioni di un città che tradisce il senso dell’umanesimo votandosi al culto dell’effimero, del successo, del denaro. Nato come “reportage di un reportage” per l’edizione tedesca di Lettre International, "Die Roma und die Renaissance" uscì in Italia nel 1999 per Feltrinelli, sparendo poi dagli scaffali delle librerie. Nel 2013, Antonio Tabucchi iniziò a lavorare con edizioni Piagge ad una ripubblicazione del testo, che restava purtroppo attuale, mettendo a disposizione altri suoi materiali sull’argomento e il racconto inedito "Diciannove di agosto".