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Di quante storie siamo fatti?

By 25 Luglio 2020 23 Marzo, 2021 No Comments

Di quante storie siamo fatti?

Aisha Cerami

Se decidessi di raccontare la mia vita, partirei dalla mia venuta al mondo per arrivare fino a oggi: una donna in balia di un grande caos. Ma sarebbe la strada giusta? O forse dovrei cominciare dalla morte di mio padre, o dalla nascita dei miei figli? Dove si trova il vero inizio? Ma soprattutto, quali sono i giorni che hanno fatto di me ciò che sono?

 

Due o tre cose che so di sicuro: la verità non è mai dove si pensa che sia. E che le bugie sono spesso più sincere della realtà bell’e fatta. 

 

Per mentire devo conoscere il contrario del mentire. Ma cambiare ciò che ritengo essere vero non mi porta in fondo davanti a un’altra possibilità che potrebbe essere, nonostante l’apparenza, più vera del vero?

 

Se penso ai giorni che sono stati, ormai solo immagini che nutrono i ricordi, so di raccontarmi delle storie. Invento, convinta di non farlo. Posso dire che il mio passato è una composizione in movimento, dove tutto è accaduto, anche quello che non è accaduto mai. Ma quello che non ho vissuto, se me lo racconto, vuol dire che in qualche modo c’è stato. Forse sotto altre sembianze. Forse le paure avevano altre facce e altri nomi. Come i desideri, o la rabbia. Ma quelle menzogne io le ho vissute tutte.

Quindi, se decidessi di raccontare la mia storia, farei meglio a raccontare un’altra storia. 

 

Di quanti dolori siamo fatti?

 

Se decidessi di raccontare le mie ferite, comincerei dalla perdita atroce di un sogno, o dall’epilessia che mi ha accompagnata per tutta l’infanzia e l’adolescenza? 

 

Due o tre cose che so di sicuro: i grandi eventi dolorosi o si rimuovono, permettendo loro di trasformarsi in un male subdolo e straripante che allaga la mente, o si guardano in faccia, imparando ad accettarli prima e ad amarli dopo. Come una sorta di profumo che ti riporta indietro nel tempo e dipinge la memoria. Perché far finta che il danno non sia mai esistito è come decidere che si può vivere anche senza sangue.

 

Potrei raccontare che ho perso un figlio, ben prima di vederlo sorridere. Potrei dire che avrei potuto gettare quella morte nel baratro dei rimpianti dove tutto marcisce, ma ho accettato di soffrire per tenere quell’evento crudele con me, per continuare ad amare. E non è importante, come dicevo, che sia vero o falso, quel dolore o quell’evento, ma è importante che io abbia bisogno di raccontarmi quel tormento. Di soffrire di quel ricordo, che potrebbe essere altro ma che io ho trasformato nella perdita di un figlio.

 

Noi siamo quello che raccontiamo di noi stessi, o siamo quello che abbiamo vissuto? Non smetterò mai di chiedermelo, sapendo già da ora che la risposta è una bugia.

 

Quello che so con certezza è che Dorothy Allison, nel suo piccolo capolavoro Due o tre cose che so di sicuro, mi ha costretta a riflettere sulla verità e sulla menzogna. Sulle tragedie e sulle lotte di ogni santo giorno, trascinandomi nel labirinto della mia mente disordinata. Mi ha spinta a pensare a cosa so e a cosa non so. Da dove vengo, da dove sono fuggita e perché sono arrivata qui. E mi chiedo: ho vissuto di più nella mia mente o nel mondo reale? Nelle speranze o nei giorni ripetuti?

 

“Dietro la storia che racconto ce n’è una nascosta. Dietro la storia che ascolti ce n’è una che vorrei riuscire a farti ascoltare. Dietro il mio colletto abbottonato con precisione c’è la mia pelle nuda, la fatica di trovare vestiti puliti, cibo, senso e soldi. Dietro il sesso c’è la rabbia, dietro la rabbia c’è l’amore, dietro quell’istante c’è il silenzio, anni di silenzio”, scrive Dorothy Allison.

 

Due o tre cose che so di sicuro: questo libro deve essere letto. Parla di radici, di omosessualità, di abuso, ma anche di amore straziante, di rivincite, di creatività, di arte. Di passato, di dimenticanze. Sono pagine belle, di una sincerità disarmante. 

 

E con la stessa sincerità, io scrivo una cosa che so per certo: dietro di me, dietro ogni mio pensiero, ogni mia azione, ogni mia parola, esistono altri mille pensieri, azioni e parole. E questi pensieri, azioni e parole sono ciò che sono, e che ho dimenticato.

Aisha Cerami

È nata e vive a Roma. Ha collaborato per alcuni anni con «Il Sole 24 Ore» pubblicando racconti del fantastico. Nel 2019 è stata candidata ai David di Donatello per la colonna sonora del film A casa tutti bene. Per Rizzoli ha pubblicato Gli altri.

Lettura consigliata
Due o tre cose che so di sicuro
Dorothy Allison
Esistono tanti modi in cui i pettegolezzi di una generazione possono trasformarsi in leggende per chi li eredita. Lo sa bene Dorothy Allison che, con Due o tre cose che so di sicuro, ci regala un memoir intenso e lacerante che è piccolo gioiello. Illustrato con fotografie tratte dalla collezione personale dell’autrice, racconta la storia delle donne della sua famiglia – figlie, sorelle, cugine e zie – e degli uomini che le hanno amate, che spesso hanno abusato di loro e che, ciononostante, ne hanno condiviso i destini. E racconta la storia della stessa Dorothy e del percorso di riscatto che l’ha portata a scrivere La bastarda della Carolina, salutato anche in Italia come un capolavoro, e a conquistare, attraverso la parola e la reinvenzione letteraria, la propria personalissima salvezza. Provocatorio, controverso e brutalmente onesto, il memoir della Allison ha la forza di raccontare di nuovo, da una prospettiva diversa e complementare, un mondo white trash nel quale bellezza e dolore, amore e crudeltà, sconfitta e riscatto non sono mai separabili, ma due facce di un’unica medaglia.