Rivista La città dei lettori

Il caffè dello studente e altri danni

By 8 Marzo 2023 No Comments

Il caffè dello studente e altri danni

Valentina Santini

Buio. Silenzio. Statistica II. Vestaglia. I miei coinquilini dormono. Le cinque di mattina è un limbo perfetto: troppo tardi per chi fa nottata, troppo presto per quelli che vanno a lezione.

Mi godo l’ecatombe del mio appartamento. Fisso con sgomento la cucina: piatti nel lavello, briciole sul tavolo, un cartello stradale appoggiato a terra e un pupazzo gonfiabile di Hello Kitty. Ho ventuno anni, attraverso la fase Marguerite Duras e Statistica mi fa schifo, figuriamoci Statistica II.

Recupero la moka da sei. Se ci fossero stati i social avrei postato una foto finto-casual corredata da una frase molto ispirata, ma per fortuna esistono solo MySpace e i Nokia. Con la manica della vestaglia do una pulita al tavolo, sistemo libri e appunti. Opto per una colazione a base di caffè dello studente – caffè fatto con altro caffè invece che con acqua. Statistica II è un esame giallo, mi pare evidente – Psicologia degli atteggiamenti e delle opinioni è rosa; Psichiatria, verde – in più è giovedì e anche giovedì è giallo. La giornata comincia alla grande.

 

 

Mentre aspetto che la moka borbotti, mi crogiolo nel mio doc non diagnosticato: allineo libri e quaderni, penne ed evidenziatori – in tutto sei; quindi aggiungo anche un portamine HB perché i numeri pari nei mesi dispari non portano bene – è maggio. Manco a dirlo è tutto in tinta, post-it compresi.

Bevo il caffè. Fumo una sigaretta con lo sguardo languido nel patetico tentativo di replicare una struggente e immaginaria versione di me che vive a Parigi – colpa della Duras. Ho iniziato a leggerla perché ero squattrinata e lei era la cosa più breve e interessante che offriva la libreria di mia madre. Durante l’ultima visita a casa ho preso una decina di libri: Occhi blu e capelli neri, L’amante e altri titoli Feltrinelli perché mi piaceva l’idea della pila mono editore sul comodino.

 

 

Indice di correlazione di Pearson, intervalli di confidenza. Numeri. Uno sfacelo di formule. Bevo un altro caffè. Un’altra sigaretta. Il coefficiente non varia rispetto ai cambiamenti singoli della posizione e della scala delle due variabili. Uno strizzotto di pancia. Un altro caffè. X e Y e un sacco di lettere dell’alfabeto che devono essere divise per altre lettere. Sono la padrona indiscussa dell’appartamento. La regina della cucina, imperatrice dei coefficienti di correlazione. Altro movimento intestinale. Ho praticamente capito come risolvere la questione degli intervalli, ho bisogno di altri dieci minuti al massimo. Sollevo appena la natica destra dalla sedia e mi lascio andare. Poco, pochissimo. In maniera silenziosa. Come farebbe una vera signorina nel suo appartamento parigino. Voglio essere la Duras, decido che nel pomeriggio inizierò a scrivere un romanzo. Emetto uno sfiato impercettibile.

 

 

E mi paralizzo.

 

 

Non mi sembra vero. Non per una come me. Una come me si alza alle cinque di mattina per studiare, ha l’anima bohémien, è vero, ma fino a un certo punto. Scatto in piedi e inevitabilmente sento colare caldo lungo le cosce. Abbandono le compulsioni sul tavolo di cucina e mi dirigo verso la camera per recuperare dei vestiti puliti. Nella penombra del disimpegno c’è Alessandro – quarto anno di Architettura, mani piccole, fan di Beautiful, perché ritiene sia un argomento passe-partout per abbordare le ragazze – mi guarda come fossi una ladra, poi mi mette a fuoco. Ha la mano dentro i pantaloni del pigiama. Farfuglia un «Sei strana, che è successo» e non suona affatto come una domanda. Non è collaborativo.

Ignorami, penso. «Niente, torna a letto» dico. Temo di puzzare.

«Prima piscio, ma che ore sono?»

Sento un rigagnolo raggiungermi l’incavo del ginocchio. «È presto» dico. Entro in camera. La mia compagna di stanza dorme. Prendo mutande e calzini puliti dal cassetto; sopra c’è la pila dei libri Feltrinelli rubati a mia madre. Il danno, leggo. È un segno, penso.

Mi soffermo sulla quarta, poi passo al primo capitolo.

 

 

Tre ore dopo sono seduta a terra, i pantaloni del pigiama appiccicati dietro, mi mancano una trentina di pagine per finire il libro e non ho ancora fatto la doccia.

La mia compagna di stanza si sveglia, mi dice che ha fatto un sogno allucinante che riguardava i suoi genitori e un’otaria. «Non senti un odore strano?» Alza il mento, annusa l’aria come un setter.

Ho gli occhi fissi sulla pagina. Penso ad Anna, ai danni che ci rendono invincibili e spietati, ai tradimenti, al lavorio mentale, alle sconfitte, ai segreti che scavano solchi ingestibili.

«Apri la finestra, va’. Io vado a fare il caffè, lo vuoi?»

 

 

Sono passati quasi vent’anni da quel giorno. Quello che mi fece quel libro in quelle quattro ore seduta a terra piena di merda è uno sfregio su carne che non mi levo, una bramosia di vendetta, paura e rabbia.

Sono passati quasi vent’anni da quel giorno e non ho più avuto il coraggio di rileggere Il danno né di bere un caffè dello studente.

Valentina Santini

Nata nel 1983 nella Maremma grossetana, è laureata in Psicologia. Collabora come editor e copywriter con alcune realtà editoriali. Ha pubblicato nel 2022 L'osso del cuore per Edizioni E/O. Molti dei suoi racconti sono usciti per raccolte e riviste. È cosceneggiatrice della serie tv interattiva Il confine di Moebius. Scrive per il cinema.

Lettura consigliata
Il danno
Josephine Hart
“Quella che ho non è una relazione, no, non è una relazione. È qualcosa che mi consuma, anima e corpo.” Immediatamente, fin dalle prime frasi del romanzo, veniamo catturati dall’incessante lavorio di una mente sconvolta. È la mente di un uomo che si presenta con queste parole: “Non sono morto nel mio cinquantesimo anno. E ora poche persone, tra quelle che mi conoscono, ritengono che questa non sia stata una tragedia”. Ed è quest’uomo, il protagonista, a narrarci la propria storia. La sua vita, dipanatasi su una superficie levigata – ha svolto una brillante carriera politica, ha sposato una donna intelligente e bella con la quale ha messo al mondo un figlio pieno di talento e una figlia dolcissima – è stata però costruita su un vuoto di passioni. È stato un “abile dissimulatore” che con facilità ha saputo svolgere il ruolo di figlio, marito, padre, politico, sempre con ottimi risultati. Fino a quando incontra una donna – strana, misteriosa e segnata dal proprio passato – che subito esercita su di lui un pericoloso potere. Un dominio sessuale e psicologico di fronte al quale egli soccombe senza riserve, nonostante lei l’abbia messo in guardia contro se stessa e lui sappia che rappresenta una minaccia per tutto il suo mondo poiché è la donna che il figlio intende sposare… Il libro da cui Louis Malle ha tratto il film omonimo.