La soglia

Filippo Rigli

E prendilo un po’ di sole, mi diceva mia mamma, che sei bianco come un cencio. Ma io al sole mi bruciavo e basta, poi dovevo mettere delle pomate unte. Il mare non mi piaceva. Tutte quelle persone assiepate in mutande a ciarlare mi repellevano. Non mi piacevano gli altri bambini, che parlavano di calcio e giocavano con delle biglie di plastica con dentro le foto dei ciclisti. Mi sembravano scemi e violenti, come quelli da cui mi dovevo difendere a scuola. Finivo sempre per litigare. Mi piaceva nuotare, avevo fatto i corsi di nuoto al paese, ma i miei non mi facevano andare più al largo della prima boa, e comunque era una faticaccia, e non potevo stare a mollo in eterno, e più rimanevo in mare più mi sarebbe toccato il contrappasso del sole una volta tornato in spiaggia. Mi piaceva leggere invece. E allora leggevo, rigorosamente all’ombra. Leggevo Tex e Zagor e i vecchi Uomo Ragno e Alan Ford del babbo che mi ero portato da casa. Pure i miei passavano molto tempo a leggere i loro libri, e non mi andava mica giù che loro potessero farlo e a me toccasse socializzare con gli altri bambini. Non me ne fregava niente di socializzare, volevo leggere e basta. Fosse stato per me non sarei neppure andato al mare, sarei rimasto al paese deserto e assolato, a girare in bici nei vicoli e lungo gli argini del fiume, senza maestre a darmi gli ordini e bulli a tormentarmi. E invece mi toccava. Ma i fumetti non duravano in eterno, e non potevo di continuo chiedere ai miei di comprarmene altri. Il loro suggerimento era di leggere più piano, figuriamoci. I pomeriggi erano un calvario. I vecchi dormivano, i cartoni animati erano repliche o non c’erano proprio, se uscivo fuori morivo dal caldo e mi ustionavo, i fumetti finiti. E leggi qualche libro, che ormai sei grande, mi dicevano i miei, prima di sprofondare nella loro letargia pomeridiana.

 

Mentre loro dormivano io ammattivo di noia nella penombra. Avevo le spalle al muro, non rimanevano che i libri. Un giorno mi decisi e mi sedetti davanti al piccolo scaffale. Era una stele incisa di una lingua quasi incomprensibile. I libri erano noiosi, una roba per la scuola, e la scuola era la cosa più noiosa del mondo. Come si faceva a divertirsi con quelle pagine fitte di testo, senza neppure una figura, proprio non riuscivo a spiegarmelo. Affrontai l’idolo muto pieno di edizioni tascabili. Esaminavo i libri. Guardavo prima di tutto le copertine, bella forza, le figure erano solo là. Quelle della collana di fantascienza che leggeva la mamma erano pure belle, con le astronavi e i marziani e gli uomini con le tute spaziali. Ma quando provavo a leggerli non riuscivo a reggere due pagine, e li buttavo da una parte, e continuavo a cercare. Ma come è vero che chi cerca trova, alla fine l’idolo sputò fuori il suo tesoro. Un tesoro oscuro. Era un oscar Mondadori, sempre della collana di fantascienza, ma sulla copertina non c’era nulla di fantascientifico. C’era invece una villa, in un tramonto violaceo, con ai lati due mostri alti fino al tetto, una cosa informe con un occhio solo e una specie di dinosauro. Alla sola finestra illuminata si intravedeva la silhouette di un uomo. Pensai subito che non avrei voluto essere nei suoi panni, che i mostri stessero per mangiarselo. Quella copertina mi piaceva un sacco (ora so che era un’illustrazione di Karel Thole, un genio, e ancora gli accendo ceri per avermi indicato la soglia). I mostri all’angolo della strada, si intitolava il libro, che non era neanche esattamente un libro, era un insieme di storie. Meglio, pensai, storie più corte, meno possibilità di annoiare. L’aveva scritto un tizio che non avevo mai sentito nominare, con un nome inquietante quasi quanto la copertina, un tale H.P. Lovecraft. Era un libro dell’orrore. Non sapevo neppure che esistessero. Dell’orrore c’erano i film del martedì sera, e a dirla tutta non erano tanti quelli che facevano paura. Certo, quelli che facevano paura la facevano sul serio, ti impedivano di spengere la luce e di prendere sonno. L’uomo dei sogni coi coltelli sulle dita, o quello col diavolo che si prende una bambina e la fa vomitare verde, che avevo visto con la zia, e pure lei aveva avuto paura. Ma erano film, per l’appunto. Come faceva un libro a fare paura? Non poteva, non c’era verso. Erano solo parole su carta. Ero scettico, ma non avevo alternative. Aprii il libro, varcai la soglia. 

 

Mi ritrovai su una scialuppa alla deriva nell’oceano sotto il sole feroce, in fuga da una nave nemica. Approdai su un’isola fangosa costellata di carcasse putride di pesci morti. Camminai a tentoni nel fango fino a un crepaccio, e vidi. Vidi una città colossale e un dio pesce mostruoso uscire dalle acque melmose per adorare un obelisco verdastro. Fuggii a rotta di collo per riprendere il mare, in preda al delirio. Quando finii di leggere Dagon dovetti andare al bagno a infilare la testa sotto l’acqua del lavandino. Avevo la pelle accapponata. Oltre la soglia non c’erano i mostri, c’erano i loro Dei. C’erano entità antiche e striscianti che sognavano in città titaniche in fondo al mare, in attesa che culti blasfemi le risvegliassero. C’erano esseri indicibili che gorgogliavano e bestemmiavano lontano, nell’universo sconosciuto. L’umanità era un caso, un’accolita di microbi, impotente, non c’erano esorcismi per affrontare un male così vetusto, così immenso. Mi asciugai la testa e scacciai la paura in fondo allo stomaco e tornai a leggere, oltre la soglia. I mostri nella copertina non sostavano intorno alla casa per mangiarsi l’uomo alla finestra. Erano là a montare la guardia, lui li aveva evocati. Era il negromante. Lessi il libro, lo rilessi, poi lo rilessi ancora. Avevo varcato la soglia e non avrei più fatto ritorno. Non avrei più guardato il mare senza vedere emergere il muso tentacolato del Grande Cthulhu. Non potevo più osservare i bagnanti sulla spiaggia senza scorgere sui loro volti le piaghe sinistre della Maschera di Innsmouth. Le striature rossastre nel cielo notturno non erano dipinte dall’inquinamento, erano un colore alieno che scendeva sulla terra per seminare il terrore. Ora sapevo. Sapevo cosa si nascondeva nei vicoli e nelle aule scolastiche quando calava la notte, nel mare oltre la boa, nelle case abbandonate, nei boschi impenetrabili ai confini delle città e dei paesi. Ero un devoto del negromante di Providence, un chierichetto del culto che non si può nominare. Ma non finii morfinomane cercando scampo dalla paura, non mi chiusero in un manicomio, urlante e avvolto in una camicia di forza. Invece, di lì a poco cominciai a scrivere storie dell’orrore. Non ho ancora smesso.

 

 

* Questo racconto è stato scritto e selezionato tra maggio e giugno 2022 per la Rivista La città dei lettori durante il corso Scrivere un racconto curato da Luca Ricci e promosso da Fenysia – Scuola di linguaggi della cultura 

Filippo Rigli

È nato a Montevarchi nel 1979. Ha pubblicato racconti per le riviste letterarie Stanza 251, Flanerì, La tela Nera, L'Indiscreto, Il Lavoro Culturale, Eccetera Magazine, Racconticon, L'Irrequieto, oltre che per il «Corriere della sera». Nel 2008 è stato tra gli autori del racconto collettivo "Alba di piombo", nel progetto di Scrittura Industriale Collettiva (SIC), ideata da Vanni Santoni e Gregorio Magini. Nel 2013 è stato tra gli autori di In territorio nemico, primo romanzo composto col metodo SIC. Nello stesso anno ha pubblicato alcuni racconti nell'antologia Decameron 2013 curata da Marco Vichi, per Felici Editore. Nel 2019 è uscito un suo racconto nell'antologia La scia nera, sempre a cura di Marco Vichi, per Tea edizioni. Vive e lavora a Firenze.

Lettura consigliata
I mostri all'angolo della strada
Howard Phillips Lovecraft
Nel 1966 si presentava ai lettori italiani I mostri all’angolo della strada, la prima raccolta ragionata delle opere di H.P. Lovecraft, curata da Fruttero e Lucentini. Nell’intento dei curatori, «La “grande mostra” italiana dei mostri di Lovecraft» si proponeva di rimettere ordine nelle pubblicazioni saltuarie e incomplete del maestro di Providence, proponendo sia i racconti legati al ciclo di Cthulhu sia quelli sovrannaturali. Lovecraft e i suoi racconti visionari, che tratteggiano un universo malevolo incomprensibile, pronto a divorare la fragile civiltà umana, sono poi diventati un caposaldo della letteratura fantastica moderna, e questa raccolta rappresenta la pietra miliare della storia delle sue pubblicazioni in Italia.