Rivista La città dei lettori

La virtù della follia

By 15 Novembre 2021 No Comments

La virtù della follia

Maria Teresa Tanzilli

Cammino per la città, mentre Nikolaj Gogol’ mi sussurra parole di pazzia. Sento il peso del volume dei Racconti di Pietroburgo nella borsa, la tracolla mi tira, mi pizzica, ma è l’unico appiglio che mi aiuta a rimanere connessa con il mondo. Procedo velocemente come se dovessi mettermi al riparo da qualcosa, ma allo stesso tempo non fossi in grado di correre via. Ormai l’attacco di panico lo riconosco, mi avverte con un pensiero travestito da normalità, poi ecco che il respiro si fa più veloce e la testa diventa un pallone di nebbia. Devo rifugiarmi da qualche parte, mi sento così vulnerabile che ho quasi l’istinto di proteggermi il capo da un pericolo imminente che mi sta cadendo addosso. Sto impazzendo anche io come Popriščin?

 

Entro come una furia nel primo caffè che mi capita a tiro e mi metto seduta al tavolo in fondo alla sala, quello più nascosto, quello che mi sembra il più sicuro. L’illusione di mettermi al riparo dall’esterno quando invece quello che mi spaventa ce l’ho dentro. Per distrarmi apro il mio libro a pagina duecentonovantaquattro, Il diario d’un pazzo di Nikolaj Gogol’. Leggere le parole giuste al momento giusto è una sincronicità che quando si verifica ti fa sentire parte di un tutto che ti scalda e ti consola. Anche Aksentij Ivanovič Popriščin stava scappando, proprio come me. Si era rifugiato nella follia a causa di un lavoro che non amava, di un amore non corrisposto, di una crisi di mezza età.

“Hai superato i quarant’anni e sarebbe tempo di mettere la testa a posto!”, gli aveva detto l’odioso capufficio. Deglutisco a vuoto. È tutto così familiare che non posso fare a meno di sentire una profonda simpatia per Popriščin, nell’accezione originaria di patire insieme a lui. D’altronde il panico è segno che qualcosa non va, un primordiale campanello di allarme che vibra quando meno te lo aspetti.

 

La follia è poi così diversa? Non so darmi una risposta e continuo a leggere senza quasi rendermi conto che il mio respiro si sta lentamente regolarizzando. Gogol’ ci fa conoscere Popriščin attraverso le parole del suo diario, noi non abbiamo idea di come lo vedano gli altri, siamo dentro la sua testa, invischiati sempre di più nella pazzia che sta prendendo il sopravvento. Già dalle date del suo diario notiamo la degenerazione del suo stato. Si parte da un normale “3 ottobre”, per arrivare a:

 

“Nessun giorno. Oggi non se n’ha nessuno”

 

“Il giorno del mese non me lo ricordo. Ma non c’era neanche mese. Sa il diavolo che cosa era”

 

“L 34 i Mes. nno. oıɐɹqqǝɟ 349”

 

Non si tratta di un pazzo eroico che illumina l’umanità con una verità assoluta, no, Popriščin è un pazzo le cui parole non vengono intese da nessuno. Popriščin è solo.

“Riconosco che da un po’ di tempo io sento e vedo talvolta cose che nessuno ha mai vedute o sentite”, confessa nel suo diario, che diventa ad ogni pagina ricco di accadimenti sempre più assurdi. Capisce che qualcosa di insolito si sta verificando tanto che scrive: “Oggi è successa una cosa strana”, ma non ne sembra turbato più di tanto. Inizia a sentire le conversazioni tra i cani, arriva perfino a convincersi di leggere la loro corrispondenza epistolare. Popriščin però non si spaventa mai, accetta questa sua deriva con un certo vigore, senza subirla passivamente, ma anzi con il piglio di chi ha finalmente trovato il proprio posto nel mondo. La sua follia si trasforma in un atto di libertà, sia per il protagonista che si svincola così dalle frustrazioni di una vita che lo opprime, sia per Gogol’ che può dare sfogo alla propria penna. Crolla l’impalcatura borghese, crollano le imposizioni della società, che non sempre sono in comunione con il nostro essere. Popriščin, finalmente libero dalle sue zavorre, finisce con il credere di essere diventato il re di Spagna e ce lo annuncia come se non aspettasse altro: “È questo il giorno del mio più grande trionfo! La Spagna ha finalmente il suo re. Il re è venuto fuori. Quel re sono io. Soltanto oggi me ne sono accorto”.

 

Non gli stava più bene come la società lo identificava e allora è stato lui stesso a urlare alla società quello che voleva essere. E in quel momento anche io mi accorgo di una cosa: che sto bene, l’attacco di panico è passato. Non l’ho negato, non l’ho combattuto, forse per la prima volta l’ho accettato.

La follia di Popriščin è stata la mia rivelazione, la sua assurdità è il mio stato di grazia. L’accettazione del nostro modo di essere è una enorme liberazione, nel bene e nel male, nel senno e nella confusione. E se proprio non ce la facciamo, siamo liberi di credere di essere il re di Spagna. Popriščin è impazzito al posto nostro, e di questo gliene sarò sempre riconoscente. 

Maria Teresa Tanzilli

Ha pubblicato Il patto per Fazi Editore, L’ultimo viaggio con Nero Press Edizioni e il racconto “Ogni giovedì” nella raccolta Storie di amori e follie edita da ISBN Edizioni. È una cantautrice rock.

Lettura consigliata
Racconti di Pietroburgo
Nikolaj Gogol’
Un barbiere si sveglia di buon'ora, si alza dal letto, spezza il pane appena sfornato, vi scorge dentro «qualcosa di biancheggiante»: un naso. Prende così avvio uno dei racconti più celebri della letteratura di tutti i tempi, affiancato in questa raccolta da altri quattro, non meno significativi e famosi: Il ritratto, dove un dipinto porta con sé, nel trascorrere degli anni, tutto il male che era nell'animo del personaggio rappresentato; La Prospettiva, storia di incontri e di passioni fatali o fugaci sullo sfondo mutevole, e talora inquietante, del Nevskij Prospekt; Il giornale di un pazzo, diario di un uomo solo e del suo precipitare nella follia; Il mantello, dramma di un povero impiegato che subisce il furto del cappotto nuovo acquistato avvezzando una vita già misera a ulteriori, patetiche restrizioni. «Questi suoi personaggi immersi in una luce crepuscolare, lividi o torvi, amorfi talvolta o difformi, vagano tuttavia ormai per il mondo, né il mondo saprebbe ignorarli». Tommaso Landolfi