Così ho fatto questo: ho ripreso il libro appena finito, l’ho riaperto all’ultimo racconto e l’ho riletto. E poi ancora così, una seconda volta. E poi una terza e subito dopo una quarta. Poi un caffè e la voglia di tornare con gli occhi a quelle pagine: in poco meno di un’ora cinque letture ripetute di “Salmo anonimo”, il titolo che chiude “Varchi”, raccolta edita dal piccolissimo quanto prezioso editore Barta che è stata scritta da Marco Cipollini. Cinque letture – per la verità – non mi sono bastate: sono arrivato, per il momento, a dodici. Certo che questo scritto tornerò a rimaneggiarlo perché – capita con alcuni libri e questo lo è – mi ha portato in un mondo che ho conosciuto, in quel luogo di incontro che permette la traslazione tra ciò che si legge – in questo caso una storia sentimentale – e ciò che si sente. Ero – quando ero in quelle pagine – nella purezza dell’amore, quello che Cipollini – ex professore di italiano, empolese di 78 anni, poeta e critico – sembrava aver ritagliato alla perfezione. In ogni suo racconto, di fondo, c’è questo. Mi è sembrato di sentire la grana della voce degli scrittori che amo, la solita stoffa che ha Dino Buzzati, Georgi Gospodinov, Antonio Delfini, Fernando Pessoa. Un libro così sta tra quelli che preferisco, mi sono detto.
Poi ho pensato che la sua voce potesse ricordare – e a me lo ha ricordato – anche la voce di chi non potevo più ascoltare e che invece ho ascoltato per anni, soprattutto questi ultimi anni quando con cadenza fissa – per il piacere di farlo – telefonavo o andavo a trovare Ottavina: solita qualità umana di questi scrittori che sanno pesare la bellezza della vita. Per paradosso leggevo Cipollini e sentivo la voce di Ottavina, che è morta il 31 dicembre 2021. Questo sentivo: la sua voce.
La voce. La voce che a volte andava sul falsetto e a volte – quando parlava di cose serie – andava a picco, si stabilizzava sull’orlo della realtà. La voce che era musica pura, una tonalità inconfondibile, quasi un’ottava più degli altri, svettando così in maniera del tutto naturale.
La voce, e poi le mani. Mani dolci, mani che avevano conosciuto il lavoro, mani da carezza, mani che sapevano di farina, mani che padroneggiavano il cucito e l’ordito delle cose, mani di donna che erano scampate alla violenza dei fascisti prima e dei comunisti dopo, mani calde come pan di ramerino appena sfornato.
E poi anche lo sguardo, i suoi occhi, occhi che squadernavano la realtà in un colpo solo, con un cenno della testa, iridi che vedevano tutto e tutto prevedevano come di chi può sbirciare un attimo e pesare anche il particolare meno appariscente.
E poi ancora la sua intelligenza, la capacità – in una sola parola, in una sola domanda, in un solo movimento – di stabilizzare tutto, vederlo nella sua completezza, di analizzare ciò che era buono ed era bene e ciò che invece era cattivo.
Infine: il suo profumo. Che sapeva di buono, di caldo casalingo, di calore e di cannella, di farina e zucchero, di rosa e di limone, una soavità di dolcezza, il gusto di una saggezza che era prima di tutto delicatezza.
Ottavina era la donna che sapeva ascoltare, che ti accoglieva in casa e ti chiedeva se avevi fame, la donna che ti faceva tornare via con il ragù già pronto per essere riscaldato, la donna che con una sola frase portava tutto all’essenza delle cose. A 91 anni Ottavina ci è arrivata passando dalla povertà, dal freddo e dalla fame degli anni della seconda guerra mondiale, sopravvivendo alla cattiveria della gente, scoprendo suo marito morto d’infarto andandolo a cercare nel campo dove lavorava perché non era rientrato. Lottando contro le malattie che l’avevano debilitata, fino a metterla su una sedia a rotelle. Non ha vissuto una vita facile, Ottavina. Ha vissuto la vita in pienezza, che è la vita che sfibra, anche quando sembra bella.
Ottavina sapeva guardare nella vita il miracolo della vita stessa: i fiori le sembravano l’infinita varietà della bellezza, pezzi di arcobaleno da curare e da accudire. Trovava la poesia là dove realmente si trova: nelle piccole cose.
Un mio amico mi ha detto che siamo qua per le persone che amiamo: l’ho trovata una frase potentissima. Potentissima e spietata. E il senso di questo frase l’ho ritrovato nel libro di Marco Cipollini, nella voce di questi racconti, nella voce di Ottavina. Così ho fatto questo: ho ripreso il libro appena finito, l’ho riaperto all’ultimo racconto e l’ho riletto.