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Quando abitavo a Pisa leggevo Leopardi

Quando abitavo a Pisa leggevo Leopardi

Luca Ricci

Accendo la televisione. Su Rai Tre, il tg regionale è partigiano. La sede del tg regionale è a Firenze. Quando devono dare le notizie su Pisa, soprattutto quelle belle, si vede che le danno malvolentieri. 

 

Stavo leggendo Dialogo di Plotino e di Porfirio. L’operetta morale di Giacomo Leopardi dedicata al suicidio. Ero molto interessato perché ho sempre subito la fascinazione della morte auto-inflitta. Peccato che il mio studio si affacci su via Corridoni, strada brutta ed esageratamente trafficata.  

 

Tra l’altro, Giacomo Leopardi si trattenne a Pisa dal novembre del 1827 fino alla metà circa del 1828, in via Della Faggiola numero 19. E’ un attimo: perché non tentare una sorta di pellegrinaggio? 

 

Ho il timore che tutti i bus, qualunque tratta facciano, prima o poi passino qui sotto. Adesso vado a domandarlo a chi di dovere. 

 

Nella piazza della stazione ferroviaria, oltre alle varie fermate delle linee cosiddette LAM, cioè linee ad alta mobilità, c’è anche un ufficietto della CPT, ovvero della Compagnia Pisana Trasporti. 

– Posso fare una domanda? – chiedo a un gruppetto di autisti e burocrati della CPT.

– Prego, – fanno loro. Hanno tutti dei braccialettini d’oro al polso e hanno l’aria di sposare convincimenti ultras. 

– Ma quanti bus ci passano da via Corridoni al giorno?

– Linea Rossa, Verde e Blu?

– In generale.

– Parecchi, – fanno loro senza dire il numero esatto per non darmi soddisfazione.

 

Sto camminando verso via Della Faggiola numero 19. A Pisa mi capita molto spesso di camminare verso mete più o meno fittizie. E mentre cammino mi entra in testa di tutto. 

 

Piazza Vittorio Emanuele II è un cantiere a cielo aperto da anni. Stanno costruendo un grande parcheggio sotterraneo che dovrebbe risolvere il problema della viabilità. C’è un forte odore di asfalto secco. Ho come l’impressione che mi si appiccichi al naso. Odori così intensi raramente sono privi di ricordi. Mi dirigo verso il bar La Loggia per un caffè. Niente, l’odore di asfalto secco non mi ricorda assolutamente niente. Sollievo.

 

Al bar La Loggia incontro un amico che lavora in Provincia. Si esprime per numeri percentuali e frazioni. 

– Comunque, un cittadino su due non ha idea di cosa facciamo. Vuoi fare un giro dentro? – dice a un certo punto. 

 

All’ingresso della Provincia mi danno un pass, sopra c’è scritto Guest 9. Mi chiedo se per i corridoi e gli uffici riconoscerò le altre otto anime erranti. 

 

Al liceo, durante l’ora di religione, una volta il prete ci lesse tutti i libri di cui si componeva la bibbia. Attaccò spedito: Genesi, Esodo, Levitico…

– Almeno una volta nella vita, – disse prima di cominciare.    

 

Mi assale una stanchezza, a me, in Provincia. Chiedo a tutti che orario fanno. 

 

La provincia di Pisa: Calci, Cascina, Fauglia, Lorenzana, Orciano Pisano, (Pisa), San Giuliano Terme, Vecchiano, Vicopisano, Bientina, Buti, Calcinaia, Capannoli, Casciana Terme, Chianni, Crespina, Lajatico, Lari, Palaia, Peccioli, Ponsacco, Pontedera, Santa Maria a Monte, Terricciola, Castelnuovo, Montecatini, Pomarance, Volterra, Casale Marittimo, Castellina Marittima, Guardistallo, Montescudaio, Riparbella, Santa Luce, Castelfranco di Sotto, Montopoli, San Miniato, Santa Croce sull’Arno, Monteverdi Marittimo. Almeno una volta nella vita.  

 

Mi assale una stanchezza, a me, in Provincia. Forse per questo: ci si occupa della realtà, qui dentro. L’unico aspetto gradevole sono le calze delle dipendenti. Chiedo conferma all’amico.

– Ci sono più donne che uomini, vero?

– I due terzi sono donne.

– E hai notato le calze?

– Una su due Calzedonia.

 

Per strada incontro il marocchino a cui la mia ex dava sempre due euro per liberarsene, quando stavamo insieme. La mia ex non la incontro più, il marocchino lo incontro sempre.

 

Al bar la Borsa ci stavano i giovani di destra. Chiunque ci passi diventa un po’ di destra.

– Allora fratello? – fa il marocchino.

– La vedi ancora la mia ex? – domando io. 

Le calze di Calzedonia (multinazionale la cui sede italiana si trova a Dossobuono di Villafranca, Verona), si riconoscono perché sono sexy ma coprenti, comode ma femminili. In altre parole Calzedonia ha inventato la calza paracula.

 

In Corso Italia a me succede sempre una cosa bizzarra. Se mi capita di comprare qualcosa – e mi capita – poi dopo ho la vergogna del pacchetto.

 

Mi incollo alla vetrina del negozio Calzedonia. All’interno sono tutte donne. Le commesse portano calze Calzedonia, le clienti portano calze Calzedonia. Hanno tutte minigonne di jeans e anfibi, giovani e attempate, ragazzine e signore. Entro e abbordo una commessa. 

– È vero che Calzedonia ha inventato l’autoreggente casta, il gambaletto trasgressivo? – dico io. 

La commessa mi guarda come se stessi per rapinarla. 

 

Sono tentato di prendermi un altro caffè. Io a Pisa prendo molti caffè. E ogni volta che mi scatta l’impulso di un caffè, dovunque mi trovi, mi scatta anche l’impulso d’invitare una sconosciuta ad accompagnarmi.  

 

Pisa senza fare del nozionismo, come si fa? Fare del nozionismo vuol dire liquidare la faccenda con poco, però. Tutti quegli amici che ti portano a spasso nelle loro città e prima o poi scatta il pistolotto su questa o quella chiesa, su questo o quel palazzo, su questa o quella statua: anche loro si vogliono togliere il pensiero, si vede. 

 

Molti caffè riesco a evitarli perché alla fine non ho il coraggio d’invitare la sconosciuta che punto di volta in volta. 

 

In piazza Garibaldi ci stavano i giovani di sinistra. Chiunque ci passi diventa un po’ di sinistra.

Secondo me l’edicolante di Borgo Stretto mi ha preso in antipatia, ne ignoro il motivo. Bisognerebbe affrontare di petto la questione, chiederglielo se mi ha preso in antipatia ed eventualmente perché. 

 

La pasticceria Salza è sempre un piacere. Ordino una meringa e aspetto che un piccione mi voli sul tavolo. 

Incontro un altro marocchino a cui la mia ex dava sempre due euro per liberarsene, quando stavamo insieme. La mia ex non la incontro più, e invece anche questo marocchino lo incontro sempre.

 

Luogo comune: Pisa città a misura d’uomo. Lo si dice come fosse un complimento, ma quel singolare è agghiacciante.

 

– Allora fratello? – fa anche questo marocchino.

– La vedi ancora la mia ex? – domando io. 

 

Un esperimento che feci qualche tempo fa con Google. Le prime tre immagini pisane su internet: la Torre pendente e un pezzettino di Cattedrale; la Torre pendente; la Torre pendente e una porzione più ampia di Cattedrale.  

 

Lo so che sarei diretto in via Della Faggiola numero 19, ma improvvisamente l’idea del Duomo si è impossessata di me. Non posso sottrarmi alla sfida. 

 

Al Duomo si può fare tranquillamente del nozionismo. Nozionismo a bizzeffe. Torre, Cattedrale, Battistero e Cimitero Monumentale. Il Cimitero Monumentale un’altra volta.   

 

Il Campo dei Miracoli invade tutto il mio campo visivo e mi coglie un fortissimo senso di rigetto, di non appartenenza.

 

Il museo delle sinopie, il museo dell’Opera del Duomo, la piazza dell’Arcivescovado, tutte cose riconducibili al Campo dei Miracoli, comprese nello stesso pacchetto, un’altra volta. 

 

Prato verde, marmo bianco. Questo salta subito agli occhi. Una furbata pazzesca. Il Campo dei Miracoli sembra uno spot a Dio. Dietro potrebbe esserci uno come Oliviero Toscani. 

 

Qualcuno ha voluto che arrivassi qui, che guardassi, che provassi quello che sto provando. Sono stato guidato, e perciò truffato.  

 

– Che ne pensa? – dico a un suonatore di chitarra.

– Di cosa? – intercala.

– Del Duomo, – dico io. 

Mi guarda come se avessi qualcosa che non va. Cerco di formulare una domanda meno generica. – Perché qui i chitarristi e in piazza dei Cavalieri i bonghisti? 

Il suonatore di chitarra a quel punto è già andato via.  

 

Dalla torre pendente capita a volte che qualcuno si butti. Ma non devo, nella maniera più assoluta, cedere alla lusinga dei miei pensieri preferiti. 

 

Che lagna il Campo dei Miracoli. Tutte cose risapute. Dici Torre pendente e giù tutta una sfilza di letteratura. Dici Cattedrale e giù tutta una sfilza di letteratura. Dici Battistero e giù tutta una sfilza di letteratura.

 

– Quante ne vende al giorno? – chiedo a un venditore ambulante, indicando le riproduzioni della Torre pendente. Ce ne sono di tante, tantissime dimensioni.  

– Che modello? – mi fa il venditore ambulante, professionale. 

– Il modello non importa, quante ne vende di Torri in generale? – dico io.

– Parecchie, – fa lui senza dire il numero esatto per non darmi soddisfazione.

 

294 gradini a spirale e sarei in cima alla Torre, mi dico mentre sono indeciso se fare la fila per il biglietto oppure no.  

 

Passa molto tempo, la fila non scorre. Io non sono in fila. Io guardo la fila che non scorre.

 

Pensare che potrei salire sulla Torre mi appare una sventatezza, una cosa per cui sono troppo cresciuto. Eppure non siamo a Disneyland. Non siamo a Disneyland, no?

 

Passo alla Cattedrale, non entro. Passo al Battistero, non entro. Nozionismo non ne voglio fare.  

 

Certo che i turisti, anche volendo, non si possono ignorare. C’è una coppia che mangia l’erba del prato. Cioè, mangiano a turno. Uno si mette giù a brucare e l’altro scatta una foto, poi si scambiano i ruoli. 

 

Dietro il Battistero ci sono le antiche mura medioevali. Il biglietto costa poco, di fila non ce n’è. Salgo in cima alla torretta merlata ed esco fuori. Mi accendo una sigaretta e guardo i turisti che delusi, un gruppetto dopo l’altro, se ne vanno via. Le mura sono strette, il camminamento è breve. La delusione dei turisti è balsamica, però. 

Un guardiano mi fissa. Ogni tanto parlotta dentro a una ricetrasmittente. Mi sta sul cazzo all’istante.  

 

– È vietato fumare, non hai visto il cartello? – fa il guardiano.

– Il cartello era dentro, qui siamo all’aperto, – faccio io. La ricetrasmittente gracchia, il guardiano se la porta alla bocca e scandisce: qui camminamento mura, ho un problema. 

Sbuffo il fumo della sigaretta con prepotenza.

– E ora dove la butti? – fa il guardiano.

– Intanto fammela fumare, – faccio io. 

Ci guardiamo in cagnesco. 

– La butti nel cestino giù, – fa il guardiano.

– Ok, – faccio io. 

La ricetrasmittente gracchia, il guardiano se la porta alla bocca e scandisce: qui camminamento mura, tutto sotto controllo. 

 

È una menzogna il Campo dei Miracoli. E’ una menzogna che per diventare vera andrebbe chiusa al pubblico. 

 

Un fiume carsico, gli scrittori a Pisa, mi dico mentre imbocco via Santa Maria diretto in via Della Faggiola numero 19, e mi rammento dello stuolo di scrittori che, nel bene o nel male, hanno avuto a che fare con questa terra. 

 

I romantici inglesi ci si sono trovati proprio bene a Pisa, sì.  

 

Dante, ecco uno che non ha pudore dei luoghi, che non perde occasione per ribadire la sua appartenenza (perfino da esiliato). Uno da cui prendere esempio, se non fosse un nemico. 

 

I romantici inglesi accorsero a Pisa in gran quantità e si trovarono proprio bene, sì. 

 

Per me Dante è uguale al livornese incazzoso sul litorale. Da pisano “UNA MEDUSA NER MUSO BISOGNEREBBE TIRALLI”. 

 

E Galileo Galilei, dove lo mettiamo? Abitò vicino all’attuale Palazzo di Giustizia. Nei paraggi c’è un bar tabacchi dove un mio conoscente ha vinto 70,00 euro col gratta e vinci. 

 

Per i romantici inglesi Pisa era tappa irrinunciabile del Grand Tour, e bisogna dire che si trovavano proprio bene, sì. 

 

Allungo la strada, per raggiungere via della Faggiola numero 19, ma ci voglio proprio passare dalla zona universitaria. Mi è presa voglia di copisterie. 

 

La prima cosa a decadere in pizza Dante è l’articolo primo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.

 

Mi lascio alle spalle piazza Dante e raggiungo piazza dei Cavalieri. Ancora è presto per i bonghisti ma so che arriveranno. 

– Come mai questo è il posto dei suonatori di bongo? – chiedo a un giovincello coi capelli rasta che è appena uscito dalla Scuola Normale. 

– Convenzioni. Ma i bonghi sono passati di moda, – asserisce.   

 

Per romantici inglesi a Pisa, si deve intendere in primo luogo Percy e Mary Shelley e Lord Byron, of course. 

 

Ripensandoci, avrei voglia di andare fuori dalla scuola Sant’Anna, che è l’altra scuola d’eccellenza pisana oltre alla Scuola Normale, a cercare un altro giovincello coi capelli rasta. In base alla conoscenza dei bonghi, stabilire quale delle due scuole sia la migliore. 

 

Svolto in via della Faggiola, e me ne rendo conto subito. Non avevo mai saputo come si chiamasse la via in cui, molti anni prima, ero stato brutalmente lasciato dalla mia prima fidanzatina. 

Percy e Mary Shelley tra il 1818 e il 1822 diranno di Pisa: “Una città grande e sgradevole, pressoché disabitata”. Però ci si trasferiscono armi e bagagli. Mary riempie di pagine pisane il suo diario con chicche come questa: Detesto i pisani più di tutti gli altri italiani, e per ora non me ne piace neanche uno”. Per tutta risposta Percy invita a Pisa Lord Byron e John Keats. Che paturnie questi romantici inglesi. 

 

La mia prima fidanzatina mi lasciò il giorno di San Valentino. Le avevo appena regalato un tubetto di baci Perugina. 

 

Dal canto suo, Lord Byron si stabilì a Pisa nel 1821. Volle fare dei ritocchi alle sue carrozze, da cui scaturì un contenzioso col verniciatore Giovanni Archi. Byron voleva scucire 183 lire, Archi ne pretendeva 226. Dopo varie vicissitudini giudiziarie, Byron dovette pagare le spese processuali e le 226 lire richieste dal verniciatore. Come se non bastasse, Percy Shelley morì in mare appena fuori dal porto di Livorno qualche tempo dopo.

 

Anche la mia fidanzatina mi aveva appena regalato un tubetto di Baci Perugina, il giorno in cui mi lasciò. Era il giorno di San Valentino. 

 

Mi fermo al numero 19 di via della Faggiola, e guardo la lapide al primo piano della casa. La lapide dice: “Perché sia perenne memoria che qui nell’inverno dal MDCCCXXVII al XXVIII dimorò GIACOMO LEOPARDI e qui tornando ai dolci ricordi della giovinezza il canto A SILVIA compose la Scolaresca Universitaria a tanto nome ed a tanta sventura reverente questa lapide poneva…” ecc ecc.

 

Giacomo Leopardi ha abitato nella strada dove la mia prima fidanzatina, il giorno di San Valentino, dopo esserci scambiati due tubetti di Baci Perugina identici, mi aveva lasciato. 

 

Sui romantici inglesi ho fatto dell’aneddotica, cosa del tutto diversa dal nozionismo, mi dico mentre temporeggio davanti alla casa di Leopardi.

 

La mia fidanzatina mi lasciò con poche parole. Mi restituì il tubetto di Baci Perugina che le avevo appena regalato, e rivolle indietro il suo. Anche se, l’ho già fatto notare, erano identici. Quel gesto valse più di mille parole. 

 

Riprendo il mio cammino, ogni passo un pensiero. Ma Pisa è piccola, e dopo un po’ si rischia di tornare sui propri passi e sugli stessi pensieri. 

 

Mi fermo sul ponte di mezzo. Nel 1827 Leopardi scriveva così alla sorella Paolina: “L’aspetto di Pisa mi piace assai di più di quel di Firenze: questo lung’Arno è uno spettacolo così bello, così ampio, così magnifico, così gaio, così ridente che innamora: non ho veduto niente di simile né a Firenze né a Milano né a Roma: e veramente non so se in tutta l’Europa si trovino molte vedute di questa sorta”.  

Luca Ricci

È nato a Pisa nel 1974 e vive a Roma. Ha scritto L’amore e altre forme d’odio (2006, Premio Chiara, nuova edizione La nave di Teseo, 2020), La persecuzione del rigorista (2008), Come scrivere un best seller in 57 giorni (2009), Mabel dice sì (2012), Fantasmi dell’aldiquà (2014), I difetti fondamentali (2017). Per La nave di Teseo ha pubblicato Gli autunnali (2018), Trascurate Milano (2018), Gli estivi (2020) e Gli invernali (2021). I suoi libri sono tradotti in diverse lingue straniere. Insegna tecniche di scrittura e scrive abitualmente racconti per il quotidiano «Domani».

Lettura consigliata
Operette morali
Giacomo Leopardi
Le ventiquattro prose che compongono le Operette morali nascono durante il lungo periodo di “silenzio poetico” di Leopardi e costituiscono un unicum nella storia della letteratura italiana. Composte in massima parte in forma di dialogo sull’esempio illustre della trattatistica antica, le Operette danno sistemazione letteraria e intimamente lirica al sistema filosofico leopardiano. Abbandonando gli elementi personali e polemici per assumere un respiro universale e intensamente umano, Leopardi oppone ai «sogni filosofici» dei contemporanei il suo poetico empirismo, consegnandoci testi vibranti di ironia, potenza allegorica, profondità speculativa e vivacità emotiva.