Rivista La città dei lettori

Un’inquietudine addosso

By 14 Giugno 2023 No Comments

Un’inquietudine addosso

Luca Starita

Stamattina ho un’inquietudine addosso, di quelle causate da un sonno agitato e presente.

C’era mia nonna in testa, era seduta in cucina, al suo tavolo di ferro con l’incerata a fiori, e guardava in alto verso un punto fisso e casuale sulla parete. I dorsi delle sue mani erano appoggiati sulla superficie plastificata e mi sembrava che pregasse sottovoce, lamentandosi con parole che alle mie orecchie arrivavano confuse. Ero tornato da scuola da poco e mi guardavo intorno, cercando qualcuno nelle altre due stanze della piccola casa, al quarto piano di un palazzo popolare. La litania finisce, mia nonna mi osserva e spalanca la bocca, permettendo a un’acqua torbida di uscire dalla sua gola e di inondare il pavimento. È acqua scura, rossa e marrone, e crea mulinelli che mi avvolgono le caviglie. Nell’arco di qualche minuto le mie ginocchia sono coperte di quel liquido e sento le correnti andare e tornare dalle stanze.

 

 

Cammino a fatica con i polpacci sommersi e vado in salotto, dove galleggiano il cestino del pane e i cuscini del divano. Mi metto a sedere e sento mia nonna sistemare le posate nel cassetto, sono sempre le stesse da anni, d’acciaio e di poco valore, alcune forchette hanno i denti storti, piegati sulle punte e i coltelli sono lisci in alcuni punti della lama seghettata. Arriva mia zia e noto che ha qualcosa in faccia, qualcosa di insolito: un sorriso. Dietro di lei mia madre, con il viso un po’ più piatto rispetto a come la ricordavo e gli occhi ridotti a due fessure nere.

 

 

Mia nonna ha ripreso a cantilenare, si è seduta di nuovo allo stesso posto, anche se non la vedo lo so perché è sempre lì che si siede, ho sentito il metallo strisciare sul pavimento con violenza nonostante l’acqua. Alle mie orecchie arriva una frase monocorde ripetuta come quelle di una religione lontana. Entra anche un’altra mia zia, e sono felice di vederla perché è morta tanti anni fa. Ha i capelli neri ed è di decenni più giovane di mia madre e dell’altra, e mi chiedo com’è che siamo quando moriamo, che la Bibbia non ricordo se lo dice o no. Lei è piena di colore e più felice di noi che stiamo qua, immersi nel fiume.

 

 

Le mie gambe non le sento, sono bloccate dalla corrente e l’acqua mi sembra solidificarsi come cemento. Tutte donne in questa casa. Tutte donne a mantenere questo mondo privato che si è formato all’improvviso in settanta metri quadri. Mia zia, quella morta, si siede accanto a me e mi prende la mano, l’altra mia zia si muove veloce e si siede sull’altro lato e mi sorride, ma il sorriso è lì per lei la normalità, la posizione naturale delle sue labbra e delle sue guance. Mi prende anche lei l’altra mano e le dita cominciano a stritolarsi in quella forza, una forza che non ho mai avuto, né ho mai sentito.

 

 

Mia madre si mette di fronte a me, mi guarda negli occhi, gli stessi miei occhi, e comprendo per la prima volta cos’è la paura. Appoggia le sue mani sulle mie spalle e mi spinge verso il basso. Sento la schiena cedere e due vertebre esplodono ma il dolore non lo sento, l’acqua m’ha anestetizzato. Le zie stringono le mie mani ancora di più nella loro e tenendomi la spalla cominciano a tirare. Sono immobile e incapace di pensare, perché mi sembra di essere nel posto più giusto. La prima a cedere a quella tensione è la spalla sinistra. L’omero abbandona la sua sede e mentre avverto i tessuti che si strappano separando la pelle cede anche la spalla destra. Il sangue esce a fiotti sui lati del mio corpo e non capisco più che cos’è che mi bagna, se quello o l’acqua. Vedo le mie braccia lanciate attraverso la finestra e mi preoccupo, siamo al quarto piano, possono cadere addosso a qualcuno ferendolo e spappolate saranno inservibili, impossibili da riattaccare.

 

 

Le gambe si muovono all’improvviso con qualche spasmo ma, come per le braccia e il resto del corpo, non le guido più. Il sangue impregna la mia maglia del suo calore, guardo mia zia che sorride, guardo anche l’altra e stavolta sorride anche lei. Guardo mia madre e vedo l’orgoglio. E poi chiudo gli occhi pensando che è lì dove voglio stare, che è meglio a casa morto che via vivo.

Luca Starita

Di sangue napoletano, di crescita senese, di maturità fiorentina, si laurea a Bologna in Italianistica. Per questo suo spostarsi continuo le radici, i sogni, la definizione sono temi fondanti della sua scrittura. È autore del romanzo La tesi dell’ippocampo, pubblicato nel 2019, e di alcune drammaturgie teatrali. Collabora, inoltre, con la rivista «Cultweek». Per Effequ Edizioni ha pubblicato Canone ambiguo. Della letteratura queer italiana (2021) e Pensiero stupendo (2023).

Lettura consigliata
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Michael McDowell
1919. Le acque nere e minacciose del fiume sommergono la cittadina di Perdido, Alabama. Come gli altri abitanti, i ricchissimi Caskey, proprietari di boschi e segherie, devono fronteggiare il disastro provocato dalla furia degli elementi. Ma il clan, capeggiato dalla potente matriarca Mary-Love e dal figlio devoto Oscar, dovrà anche fare i conti con un’apparizione sconvolgente. Dalle viscere della città sommersa compare Elinor, donna dai capelli di rame con un passato misterioso e un oscuro disegno: insinuarsi nel cuore dei Caskey.